Da quando la storia viene registrata, oralmente o vocalmente, sappiamo che in ogni tempo e in ogni luogo, tutte le culture e tutte le civiltà hanno sempre raffigurato almeno una parte dell'altro mondo come un posto dove espiare i peccati della vita vissuta in questo. Ogni raffigurazione mostra demoni o mostri che seviziano, torturano, puniscono i rei. Spesso (come nella raffigurazione cristiana) i diavoli preposti a questo mestiere sono di colore rosso acceso, hanno le corna, la coda a punta di freccia e occhi come tizzoni ardenti. Hanno anche ali membranose come quelle dei pipistrelli e volano minacciosi sopra le teste delle anime dannate. Quelli più grandi a prima vista sembrano dei draghi. Già, i draghi. Anche loro compaiono in ogni mito di ogni civiltà o religione di ogni parte del mondo. E' un mistero come siano diffusi tra popoli che (per quanto se ne sappia) non si sono mai incontrati, tra cui non ci sono mai stati contatti. Eppure in tutto il mondo ed in tutte le epoche, tutti conoscono storie di draghi, con o senza ali, a due o quattro zampe o anche senza zampe ma con le ali. Sono di vari colori, verdi, neri, blu e ovviamente rossi. Ma tutti, invariabilmente sputano fuoco. Ce ne sono anche di buoni e saggi (così come esiste anche il paradiso o un qualsiasi luogo dove dopo la morte i giusti riposano), ma nella maggioranza dei casi i draghi portano morte e distruzione, le peggiori immaginabili. Si può morire in innumerevoli maniere e nessuna piacevole, ma quando una bestia enorme, terrificante e terribile, prima incenerisce tutto quello che ti circonda e poi, per completare l'opera, incenerisce te, l'orrore, anche al solo pensiero, è assoluto. Non uccide, ma annienta, cancella.
Il
concetto di male e punizione, bene e ricompensa sono necessariamente
universali, perché gli esseri umani li hanno radicati nel proprio
codice genetico, etico e culturale e sono quindi indissolubili dalla
coscienza umana, ma quando si tratta di dare forma al male,
all'orrore, alla devastazione sarebbe lecito aspettarsi che
culture diverse, lontane le une dalle altre, immerse in ambienti
naturali e quindi che conoscono animali predatori diversi
(Africa, leoni; Asia, tigri; Europa, lupi; America del Nord, orsi;
ecc.), traggano spunto, magari esagerandone i caratteri, da ciò che
avevano difronte nella loro esperienza comune e spesso questo
avviene. Ma ancora una volta i draghi li conoscono tutti...
Non
esistono reperti fossili di niente che potrebbe far pensare ad un
drago, ma ogni mito che ne parla afferma sempre che sono molto rari e
quindi le prove potrebbero anche esistere ma non essere state
trovate; meglio ancora, potrebbero non esistere reperti fossili,
visto che il fenomeno della fossilizzazione è di per sé rarissimo
e, tanto per fare un esempio, solo la diffusione globale dei
dinosauri (miliardi e miliardi devono aver abitato la terra nelle
centinaia di milioni di anni del loro dominio) ha permesso che
qualche migliaio di fossili si formassero e arrivassero fino a
noi.
Quindi
per buona pace e tranquillità di tutti, la bestia delle bestie
(come è stata definita nel medioevo europeo), viene, nei tempi
più moderni meno avvezzi alle fantasie mitiche, definita un
mito irreale.
Questo
è quello che è stato detto fino ad una primavera del 2125.
“Bella
giornata, piena di promesse”. Non c'era mai stato niente che
potesse fargli sembrare brutta una giornata all'aria aperta, neanche
40 gradi all'ombra, sotto un sole implacabile come quello che ci
martellava ormai da 15 giorni. Ma in fondo lo capivo; pur con qualche
sofferenza in più, anche a me piaceva stare all'aria aperta e
ho sempre concordato con Chris che il nostro era il più bel
lavoro del mondo. L'archeologia è sempre stata una attività dura e
difficile: lavoro sul campo, spesso in condizioni disagevoli,
per non dire pericolose; tanto per fare un esempio, ricordo quella
volta, che essendo riusciti ad ottenere il finanziamento per degli
scavi in Persia, finimmo direttamente in mezzo al conflitto tra
Nuovo Impero Persiano e Repubblica Israeliana, e solo diplomazia,
tantissima fortuna e un “pizzico” di faccia tosta, nel far
credere e raccontare che gli scavi avrebbero “certamente riportato
alla luce la gloria dell'Antico Impero Persiano”, ci fecero evitare
guai molto seri (ero amico personale del generale israeliano e
questo risolse l'altra metà del problema).
Ma
il fascino delle civiltà scomparse o addirittura sconosciute,
con tutto il corollario di storie, leggende e misteri mi aveva
accompagnato fin da quando, da bambino, cominciai a sentir
parlare, nelle lezioni di Storia, dei vari popoli antichi.
“Paolo,
che ne diresti di darti una svegliata e venire a darmi una mano?”.
Potrebbe sembrare una domanda, ma in realtà era un'ordine e
piuttosto stringente; non ero mai riuscito a far capire a Chris
che non tutti, appena svegli, potevano avere o, semplicemente
voler avere, la reattività tipica di una condizione di
'allarme rosso', (cioè dito sul pulsante di lancio di ogni e
qualsiasi arma nucleare strategica e sangue completamente sostituito
dall'adrenalina), quindi, con calma olimpica, ignorandola
accuratamente, finii il mio 'sacro' caffè, mi alzai e dopo aver
raggiunto Chris, usai la mia considerevole forza per farla girare su
se stessa, la guardai nei suoi splendidi occhi verdi e, prima che
protestasse offesa, la baciai, in quella maniera, dolce e intensa,
che la aveva fatta innamorare di me e che le toglieva qualsiasi
capacità di reazione. Io sono sul metro e ottanta, ma mi sono sempre
tenuto in forma allenandomi con i pesi e perciò supero di un
“pochino” i 100 kg di muscoli ben definiti; lei è una bambolina
di un metro e cinquantacinque, in forma e robusta, che però non
supera i 55 kg, ma la sua ira è leggendaria e non c'è deterrente
fisico che possa impressionarla; per fortuna io sono un orsacchiotto
indistruttibile e la mia calma e dolcezza trovano sempre qualche
varco in quel carattere di titanio.
“Buongiorno
amore”, proseguii. “Si, è una splendida giornata; un filino
troppo calda, mia Regina degli Inferi e Angelo del Paradiso, ma
tant'è...”. La chiamo così dalla mattina della nostra prima
notte insieme. In quell'occasione mi guardò con aria divertita, le
era chiaro che ero cotto come un pollo alla diavola, ma era anche
conscia che non parlavo a vanvera e quella colorita definizione
doveva pur avere un senso. “Cosa intendi dire, esattamente,
Paolo?”; avrei imparato che le sue domande dovevano
sempre
avere una risposta. La più precisa possibile. La guardai
sorridendo: “hai un corpo di una bellezza demoniaca, che adoro, amo
e sempre desidero, e il tuo viso è l'essenza della beatitudine
angelica; quando mi strilli dietro, con la tua dolce voce, come
testimoniano i notevolissimi danni a finestre e intonaci delle
mura di tutto il campus, un terrore infernale pervade ogni persona,
me escluso, ma la tua dolcezza mi rende un beato demente”. Mi
abbracciò quanto più stretto le fu possibile e quando si allontanò,
piangeva, felice. Avevo usato quella che io definisco “esagerazione
metaforica”, facendo il cretino, ma confessando il mio amore. Avevo
detto che non era perfetta, ma che proprio questo suo incredibile mix
mi aveva fatto impazzire.
Lei
è Christine e l'ho conosciuta il primo giorno che sono arrivato a
prendere la mia camera al Marshall College (Connecticut, USA). Si.
Avete capito bene: lo stesso dove Sir Indiana Jones insegnò e di cui
divenne rettore fino alla sua morte. Avevamo vinto entrambi la borsa
di studio in palio per quell'anno (era il 2110), ed il nostro fu
un caso straordinario perché la borsa di studio era sempre
stata inderogabilmente una sola. La motivazione che il consiglio
esaminatore diede al Rettore per convincerlo a quella doppia
spesa (e lui non ebbe niente da obiettare, pur con una evidente nota
di dolore nei suoi occhi neri e sinceri) fu che entrambi, con il solo
ausilio di strumenti satellitari (io) e con l'utilizzo di tecniche di
analisi neutrinica (Chris), eravamo stati in grado di “apportare
significativi contributi ed avanzamenti alla scienza archeologica,
tramite una innovativo uso dei mezzi di analisi più avanzati”. La
sterilità della motivazione nasconde, in prima battuta, delle
enormi conseguenze, in tutti i sensi. Nel mio caso si era
trattato, grazie alla collaborazione di un direttore di dipartimento
della NASA e con l'uso di tempo macchina di un satellite per
l'analisi geologica, di rintracciare l'ubicazione di Atlantide, e nel
caso di Christine nell'essere stata in grado di dimostrare che la
Sindone era, in
un certo qual modo, autentica
e che la sua creazione aveva richiesto una manipolazione a livello
quantistico, che aveva modificato la struttura stessa della materia.
La data della distruzione di Atlantide e della creazione della
Sindone coincidevano. Avevamo anche però dimostrato che la Sindone
non aveva niente a che fare con la morte di Gesù di Nazareth, pur
non essendo un falso medievale. Il nostro corso di studi
consistette nell'analizzare e comprendere le implicazioni di questi
fatti; dato
che dei
test preliminari dimostrarono la nostra competenza nel settore,
passammo direttamente dallo status di dilettanti di grande genio a
quello di massimi esperti e studiosi della storia della prima civiltà
umana (o almeno terrestre) e dei motivi che avevano causato la sua
completa distruzione. Furono 15 anni intensi e fantastici.
Eravamo
in pieno deserto del Sahara, dove avevamo rintracciato una
colonia Atlantidea. Era una città che se la struttura poteva essere
confrontata con quella delle nostre città più grandi (altezza media
10-12 piani) aveva ospitato almeno 5 milioni di abitanti. Era la
meglio conservata delle 7 che fino a quel momento avevamo scoperto.
Ci stava veramente creando dei problemi, perché non c'era una
data della storia nota fino ad allora che avesse riscontri con
le datazioni che ora stavamo riscontrando. Si può dire che ogni
giorno portava una rivoluzione. Atlantide è stata distrutta almeno
un milione di anni fa (altro che 10-12 mila!). Quindi: 1) la civiltà
umana (se, come sembrava, gli atlantidei erano umani) e, forse, anche
la stessa razza (Homo Sapiens sapiens) erano mooolto più
vecchie; la Sindone analizzata da Chris aveva anche rivelato che la
persona impressa nel telo di lino era solo apparentemente umana ma
leggermente diversa, che Chris stessa aveva provvisoriamente
chiamato i Super Sapiens, quindi forse un Atlantideo; 2) qualcosa di
immensamente potente aveva fatto tabula rasa degli atlantidei
sulla Terra, perché la loro scomparsa era stata istantanea e
contemporanea su tutto il pianeta, ed era evidente che essi erano
almeno 10.000 anni più avanzati di noi.
Quella
mattina era in programma l'apertura di una camera ad uno dei livelli
più bassi della zona che avevamo definito “Ricerca e Sviluppo
Atlantidea” (ReSA), nella quale zona, era ormai evidente, gli
Atlantidei, o come Chris li aveva ribattezzati (Chris aveva il
pallino per dare i nomi alle cose nuove, creando spesso degli arguti
acronimi), gli Dei Atlantici e quindi “(la) DeA”, avevano
installato i laboratori per le più avanzate ricerche
scientifiche; Chris è una femminista estremista, nel senso che ogni
fatto viene interpretato con ottica femminista fino alle sue estreme
conseguenze. Le donne influenzano gli uomini e quindi, de facto,
governano il mondo, e chi se ne frega se, ammetto la colpa e la
vergogna, esse sono sempre state maltrattate, sottomesse, ingiuriate
ed accettate in certi ruoli solo come estreme eccezioni, peraltro di
comodo; l'estremismo, a farsi intimorire, si manifesta nella
minaccia fisica vera e propria, difronte alla non assoluta
concordanza nei confronti dei pareri espressi da Chris. Ho
personalmente assistito ad un litigio tra Chris e una sua compagna di
studi. L'altra sosteneva che il ruolo della donna, anche se
istruita ed intelligente, è “per natura” sottomesso a
quello dell'uomo, più forte, coraggioso e via così banaleggiando.
Solo il mio istinto ha evitato lesioni gravi a quella povera ingenua:
mi sono messo in movimento reagendo di riflesso e ho intercettato
il bicchiere lanciato da Chris a meno di due centimetri dalla testa
dell'altra. Poi, ho preso da parte Chris e l'ho fatta piangere.
Ometto, per decenza, quello che le ho detto.
Raggiungemmo
il portale che ci teneva impegnati da giorni, con il suo sistema
codificato di sicurezza e che, non riuscendo assolutamente a
decifrare, avevamo deciso di forzare, tagliando parte della sezione
centrale dell'anta di sinistra. Sospettavamo che la violazione del
sistema di sicurezza potesse essere pericolosa e di conseguenza
erano state approntate tutte le accortezze del caso: il laser
neutronico da perforazione era stato adattato per un aumento
graduale della potenza; lo avrei manovrato io (mia la decisione,
mia la responsabilità, mio il rischio), in remoto, da dietro una
corazzatura di kerbanio (una nuovissima “mistura” tra carbonio,
titanio omega e kevlar mono-molecolare) in teoria in grado di
resistere ad esplosioni nucleari entro il raggio di 500 metri (in
quel caso con la necessarie aggiunta di un pannello di piombo iper
compresso, per schermare le radiazioni).
“Chris,
mi controlli i valori di pre-carica
del cannone?”. Mi girai a guardarla (era un centinaio di metri più
indietro, nascosta oltre una ulteriore corazzatura, che proteggeva
anche tutti i sensori). Anche se era lontana, i suoi occhi mi
dicevano che era molto spaventata dai rischi di quella situazione, ma
la sua voce suonò
abbastanza calma nell'auricolare “stand-by a 0.25 G-joule...” mi
fu evidente la pausa e quindi seguitai a guardarla “...ti aspetto
tutto intero, non fare cazzate.” Le spedii un bacio e lei rispose
con il suo migliore sorriso e con gli occhi lucidi. Mentre riflettevo
che ancora nessuno era riuscito a capire come fossi riuscito a
conquistarla e a sopravvivere (non necessariamente in quest'ordine),
mi girai verso la macchina, soprannominata il Cannone1,
capace di emettere un raggio perfettamente coerente di neutroni,
fino a potenze equiparabili a quelle del più potente ordigno
nucleare mai realizzato, Tsar2,
dell'ex Repubblica Socialista Sovietica, più sicuro, perché
direzionabile, ma più letale, per ciò che veniva colpito, per
la sua concentrazione. I neutroni fanno parte del nucleo di ogni
atomo noto e sono di carica neutra, molto pesanti e, una volta emessi
(sono responsabili delle principali radiazioni nucleari), se
colpiscono un altro atomo, possono spaccarlo in due (la nota
fissione nucleare). Possono avvenire due cose: nei confronti di
materiale molto pesante ed instabile, come il plutonio, la scissione
provoca una riemissione di altri neutroni, con un effetto a
catena incontrollabile e anche devastante (come nelle esplosioni
nucleari), nel secondo caso l'atomo più leggero e/o stabile
viene spaccato e quindi la struttura materiale che lo contiene
ne viene indebolita. Ecco perché è fondamentale sapere quale
materiale si sta trattando. Nel nostro caso eravamo relativamente
sicuri, perché il portone era lì da oltre un milione di anni e
sembrava appena arrivato dalla fonderia e montato; le analisi
preliminari avevano mostrato solo che era un materiale elementare
(cioè non era una lega) ultra compatto, molto più di quello che
eravamo riusciti ad ottenere noi esseri umani. Il pannello di piombo
ultra denso che si abbinava al kerbanio
era circa 1.000 volte più denso del piombo naturale. Il portale era
di un'ulteriore fattore 1.000 più denso. Avevamo perfino sospettato
che si potesse trattare di una forma di neutronio3
artificiale, ma speravamo di no, altrimenti avremmo al massimo potuto
renderlo ancora più compatto, aggiungendo neutroni, oppure non
avremmo ottenuto che uno spettacolare, ma inutile consumo di energia.
Appoggiai
le mani sulle due maniglie di controllo; la sinistra aumentava o
diminuiva l'ampiezza del raggio; la destra aumentava o diminuiva
la potenza emessa. Avevo chiesto di controllare il livello di
precarica perché, pur essendo a zero la posizione della manopola
(come quella dell'acceleratore di una moto), se il “minimo”
fosse stato troppo alto avrei rischiato di farmi male. Cominciai a
girare verso di me la manopola, lasciando alla massima ampiezza il
raggio... niente. Brava la DeA: roba molto robusta. Portai al 25%
l'ampiezza, senza aumentare la potenza... la porta cominciò a
diventare rossa. Andai avanti così (prima la potenza, poi
l'ampiezza, a scatti del 5%) per 6 cicli; mi fermai e, afferrando
una mazza di titanio omega da 25 Kg mi avvicinai al portone.
Sentivo gli sguardi di tutti, ma particolarmente di Chris, su di me,
e quando fui a misura, caricai il movimento, portando la mazza
in alto e indietro, iniziai il movimento componendolo in
orizzontale, per la maggior efficacia e... BANG. Miliardi di frantumi
volarono dappertutto, in perfetto ordine sparso. Mentre aspettavo che
la polverosa nebbiolina che si era creata si posasse, venni raggiunto
da Chris, che senza dire una parola mi abbracciò da dietro,
stringendomi fortissimo; appoggiai le mie mani sulle sue, contro
il mio petto, mentre cominciavo ad intravvedere l'interno del
laboratorio, dei suoi macchinari e... dell'immensa sezione di sfera
al suo centro, che presupponeva una camera sferoidale interrata.
“Sarà qualche genere di camera di contenimento”, azzardò
Antonio, il nostro più fidato collaboratore e anche amico, che,
insieme agli altri del gruppo, si era unito a noi, mentre ci
avvicinavamo, più curiosi che prudenti. “Sembra più una gabbia
per uccellini”, sentenziò Chris, mentre raggiungevamo il
bordo della sfera interrata, abbassando il nostro sguardo verso
il basso. L'uccellino in questione era alto almeno 25 metri, aveva
ali smisurate, con corna sulla testa affusolata e allungata, era
rosso fuoco e bé, era, al di là di ogni ragionevole dubbio, un
drago. In stasi, si, in stasi; era una sorta di mantra che mi andai
ripetendo ogni singola volta che guardando in basso mi trovavo ad
incrociare gli occhi, ma grazie alla DeA, non lo sguardo di quella
formidabile bestia. Una tigre in gabbia sai che è pericolosa, ma
solo in potenza. Lui mi terrorizzava, anche separato da un materiale
praticamente indistruttibile...
Dedicammo
l'intera giornata a cercare di capire cosa (il come era un'altra
storia) tenesse in sospensione vitale Rudy; no, tranquilli, non
c'era una targhetta al collo del drago. Simona, una delle laureande
più giovani, ci raccontò, che, nel paese in cui era cresciuta, era
vissuto un dobermann con quel nome e con quegli stessi occhi, che
uccideva qualunque cosa respirasse che non fossero i suoi
padroni, ma che, era opinione comune, fossero solo tollerati perché
era molto più semplice ottenere cibo e riparo così che non da soli.
Rudy era stato abbattuto quando un bambino era stato aggredito, e
quasi ucciso, per il solo fatto di essere passato davanti a casa dei
suoi “padroni” subito prima dell'ora di cena. In quel paese,
l'ora della cena per i cani era stata anticipata di 3 ore ed era
stata aggiunta una SECONDA cena, non tanto perché le persone
avessero semplicemente paura dei cani che sono compagni dell'uomo (ma
anche della donna) da millenni, ma in particolare perché Rudy
aveva un hobby: ogni singolo cane femmina aveva ricevuto le sue
visite sessuali e non aveva mai rifiutato di accondiscendere
(chissà, forse il solito fascino dei “cattivi ragazzi”); quindi,
in giro, c'erano molti eredi di Rudy accertati e non: risultato di
quell'aumento alimentare fu un pandemico e vertiginoso aumento
di malattie cardiovascolari per obesità canina e conseguenti
ricorrenti morti premature di molti amici canini. Rudy era
assolutamente il nome giusto. Anche da morto era letale.
Fu
presto evidente che ogni singolo apparato di quel laboratorio
collaborasse a ottenere e mantenere la stasi, il tutto
alimentato da un generatore di energia ad antimateria (ancora
una volta brava la DeA) che, dai primi calcoli effettuati e al tasso
di consumo attuale, aveva scorte per circa altri 5 milioni di
anni (!).
“Sembra
che abbiano cercato di dare il tempo, a chi fosse venuto dopo, di
arrivare ad un livello tecnologico sufficiente a trovare una
soluzione definitiva al problema drago”; Chris, mi guardava mentre
esprimevo questa considerazione iniziale; si mise in bocca un
pezzo di panino al tonno (cena semplice, quella sera), masticò e
ingoiò con un sorso di vino rosso. Aggiunse: “vorrebbe dire che
erano praticamente certi della loro distruzione”; seguii la
sua stessa procedura alimentare, vino a parte (non bevo schifezze;
preferisco un'edulcorata, sintetica bevanda, genere cola, che un
orribile alcolico, non avendo acqua a disposizione): “ergo non
possiamo considerare Rudy un'animale pericoloso qualsiasi,
altrimenti basterebbe una fucilata, con un fucile bello grosso, per
abbattere l'uccellino”; cadde nuovamente il silenzio, ma non
durò a lungo. Antonio entrò nella saletta che avevamo requisito
come refettorio urlando: “Chris, Chris, Rudy sta ballando!”;
Antonio senza nominarmi si girò verso di me, ma io lo stavo già
superando in direzione Rudy, seguito da Chris a due passi.
Ci
fermammo davanti alla gabbia (in realtà composta da un
materiale trasparente di resistenza circa pari a quella della porta,
ma in quel momento di composizione ignota). Il movimento era
continuo, seppur lentissimo. “Antonio, voglio vedere le
riprese della videocamera 17”; avevamo piazzato, già dalla mattina
una videocamera su Rudy, che altrimenti era invisibile dal resto
della sala. Raggiungemmo il sistema di videosorveglianza e un
sospetto mi raggelò il sangue; era già da alcune ore che una strana
vibrazione si faceva sentire, ma quello era un posto dai numerosi
misteri e Rudy aveva assorbito tutta la mia attenzione. Ora girai
istintivamente gli occhi verso gli indicatori dell'assorbimento
energetico (10 quadranti circolari, in serie, che indicavano i 10
reattori che fornivano l'energia al sistema), erano tutti a fondo
scala; l'energia emessa in quelle condizioni ogni minuto,
avrebbe alimentato l'intera Terra per un mese; quando eravamo
entrati, quella stessa mattina, 12 ore prima, l'assorbimento era
a malapena del 0,1%; il puzzle si stava componendo davanti ai
miei occhi; il tassello finale furono le immagini registrate e
accelerate della videocamera: Rudy si stavo dimenando e questo aveva
costretto il sistema di controllo della stasi ad aumentare
l'emissione e quindi il consumo di energia. “Sta cercando di
liberarsi”, dissi io; “si, cercando di consumare tutta
l'antimateria”, aggiunse Chris. Era calata una coperta gelata su
tutti noi. Una domanda era sospesa nell'aria: quanto rimaneva prima
che Rudy potesse liberarsi? “Dai tre, ai sei mesi, se non dovesse
fermarsi mai”; Antonio aveva risposto per tutti e il gelo divenne
paura e malcelato panico. La situazione andò peggiorando con
imbarazzante regolarità e tempismo, via via che i nostri studi sul
sistema di stasi facevano progressi.
La
mattina successiva, dopo una notte quasi insonne, eravamo
immersi in una nebbia di confusione e acuta preoccupazione. Nessuno
di noi si era mai trovato in condizioni così estreme; il
massimo che può capitare nel nostro lavoro (escludendo rischi
esterni come le guerre nelle zone in cui ci si trovava ad operare) è
finire sotto ad un crollo di macerie antiche di millenni, non che
qualcosa di infinitamente distruttivo risorga da un passato devastato
per mettere in scena il secondo atto. I reperti fossili di animali
estinti, in genere, se ne stanno buoni buoni a farsi studiare,
restando estinti e non cercando di liberarsi per ucciderti.
Ci
avviammo al laboratorio. Ci venne incontro Simona, per
ragguagliarci. “Buongiorno, ragazzi. Prima notizia: Rudy si è
calmato, ed è tranquillo da un paio di ore. Seconda notizia,
abbiamo installato il programma che calcolerà in tempo reale consumo
e durata dell'energia -M (l'antimateria). E poi credo di aver
capito come funziona il campo di stasi”. La stavamo guardando tutti
in attesa; ci era stata raccomandata come genio assoluto della
fisica e della matematica ad essa connessa e forse erano stati
perfino prudenti.
“La
vibrazione che sentiamo da ieri pomeriggio...” annuii fra me e me
“...dovrebbe essere dovuta alla riattivazione
dell'acceleratore che produce i gravitoni che sono la fonte del campo
di stasi...” bocche aperte, sopracciglia alzate “...e che
circolano in un'intercapedine della gabbia, creando un campo
gravitazionale, focalizzato verso il centro, che, come ci disse il
signor Albert Einstein, rallenta il flusso temporale
proporzionalmente alla sua stessa intensità. In definitiva, una
stella di neutroni sferica artificiale.”
Come
dissero gli Antichi, di necessità, virtù. Per cercare di tenere
sotto controllo una cosa altrimenti incontrollabile ed
indistruttibile, gli atlantidei si erano dovuti inventare una
cosa realmente incredibile. Questo, ancora una volta ci
rimetteva difronte alle dimensioni del problema “Rudy”. Quale
essere vivente può spaventare una civiltà così avanzata e
potente, e pure una volta limitate le sue possibilità di azione,
riuscire anche a contrastare ciò che lo limita? O meglio, avere
capito, che per riuscire a liberarsi, doveva aumentare il
consumo energetico di un campo di stasi che simulava una stella
di neutroni, riuscendo a muovere il proprio corpo contro un campo
gravitazionale, che in natura era una delle forze più grandi
conosciute? Mi veniva in
mente una sola definizione: Demone.
Rimanemmo
nel laboratorio tutta la giornata a controllare le azioni di
Rudy e a cercare di capire il da farsi; in ogni caso le nostre azioni
era vincolate dalle azioni di Rudy e dalla nostra limitata conoscenza
della tecnologia e delle conoscenze atlantidee. Ma con il passare del
tempo imparammo alcune cose. Simona si era resa conto che, in
definitiva, ogni sistema tecnologico risponde agli stessi
criteri e necessità. Misurare ed indicare le misure; accendere e
spegnere; regolare l'intensità degli interventi. Quindi si
trattava di capire come gli atlantidei avessero reso i controlli.
“Vedi
Paolo...” mi stava spiegando Simona, indicando su un d-pad
l'immagine digitale dei sistemi di controllo “...questo selettore
apre il circuito che immette l'energia proveniente dalla
reazione materia–antimateria...” la interruppi “scusa, Simona,
ma se non sbaglio la reazione materia–antimateria è
caldina...”. Capendo al volo Simona ampliò la spiegazione: “hai
ragione. La reazione crea un flusso di fotoni immensamente
energetico, oltre che a temperature di milioni di gradi, che
prima viene “raffreddato” tramite dei laser che ne polarizzano e
rallentano il movimento e che poi viene indirizzato verso le bobine
raffreddate quasi allo zero assoluto, che è di -273,15, e cioè
a -273,05; come sai la resistenza elettrica viene quasi
annullata per via del manifestarsi dell'effetto di superconduttività,
quindi l'energia non va sprecata minimamente e l'acceleratore ha
una resa inimmaginabile per le nostre tecnologie attuali. Alla
fine, le collisioni tra le particelle creano una super densità
paragonabile a quella presente nella materia collassata di un buco
nero, che rilascia gravitoni, poi incanalati verso la gabbia da due
direzioni diverse; così nell'intercapedine della gabbia si crea un
reticolo gravitazionale che simula un enorme campo gravitazionale
interno, che ottiene due scopi: tempo rallentato e gravità quasi
infinita.” Mi guardò per cercare segnali di comprensione. Le diedi
la massima soddisfazione possibile: una domanda sensata. “Ma se la
gravità è praticamente infinita come si spiega che Rudy non viene
'spalmato' a terra?”. Mi sorrise, come se fosse stata sicura di
avere un buon allievo che era semplicemente necessario indirizzare:
“Il reticolo che si forma dalla circolazione dei gravitoni ha forma
sferica e quindi, siccome i gravitoni hanno carica uguale fra loro, e
le cariche uguali si respingono, formano un campo gravitazionale con
direzione verso il centro della gabbia, così come fa uno specchio
sferico o emisferico: dirige la luce verso il centro; o, se
preferisci, la forma sferica del reticolo gravitazionale fa si che i
vettori del campo che così viene a crearsi convergano al centro;
solo che questo campo non è puntiforme come quello di un buco nero
ma de-localizzato e questo grazie alla circolazione continua, a
velocità prossime a quelle della luce, dei gravitoni che spostano
continuamente i vettori di campo gravitazionali. In definitiva,
all'interno della gabbia, in ogni punto la gravità è uguale a
qualsiasi altro punto e quindi ogni atomo di Rudy è imprigionato da
un campo gravitazionale equivalente a quello di un mini buco nero.”
Mi guardò di nuovo, ma i suoi occhi questa volta esprimevano
nervosismo e disappunto. Un segnale di chiamata dall'interfono ci
interruppe proprio mentre Simona finiva la sua relazione: era
Antonio, che, con perfetto tempismo, espresse i motivi di quel
disappunto. “Rudy si sta agitando di nuovo”. Il quadro definitivo
era che Rudy riusciva a muoversi immerso in un campo gravitazionale
quasi infinito, dicendoci che aveva a disposizione risorse
energetiche inimmaginabili. Sia io che Simona ci alzammo, sconsolati.
E' stata l'ultima volta che ho visto Simona viva.
Un
boato immenso scosse tutto intorno a noi e iniziarono a crollare
pareti, soffitti, mobili, attrezzature. Mi ritrovai semi sepolto
da ogni sorta di rottame. Tentai di liberarmi, ma il primo sforzo
compiuto fu vano; ero leggermente stordito e il peso dei detriti
che mi era caduto addosso era rilevante. Ora sembrava tutto
finito, anche se in lontananza si sentivano ancora dei rumori
presumibilmente di crolli. Non vedevo niente, tra la polvere
ancora sospesa in aria e quella che intasava i miei occhi. Mi
concentrai e feci un nuovo tentativo per liberarmi. Questa volta
ebbi successo; ero stato fortunato, perché un pannello della
copertura del soffitto aveva impedito che dei grossi blocchi di
cemento (o quello che sembrava essere tale, nonostante fosse
decisamente più robusto del tipico cemento da costruzione umano), mi
facessero veramente del male. Una volta in piedi cercai di
guardarmi intorno per capire quale fosse la situazione. Era una vera
catastrofe a cui per il momento non sapevo dare una spiegazione. Una
voce familiare mi chiamò; mi girai in tempo per essere assalito da
Chris che mi abbracciò e mi strinse. Per un lungo istante nessuno
dei due parlò, felici di essere insieme e vivi. “Sai cosa è
successo?” domandai a Chris che sapevo essere anche lei lì
intorno, mentre stavo
parlando con Simona. “No,
Paolo, ma credo che sia saltata qualche linea ad altissima tensione.
Mi è sembrato di vedere un lampo elettrico nella sala laser... forse
si è surriscaldata la Linea 1, si è fuso l'isolante e un arco
elettrico ad alta tensione ha incendiato qualche sostanza instabile e
patatrack. Ma possiamo chiedere a Simona di venire a vedere per dirci
la sua opinione. Nonostante i crolli la struttura regge...”.
Successivamente Chris mi raccontò che sbiancai e sgranai gli occhi.
Mi iniziò a girare la testa, ma non stavo per svenire a causa dello
choc ma le parole di Chris mi avevano ricordato la presenza di
Simona. Chris si era resa conto che qualcosa mi aveva spaventato e
non era la distruzione che ci circondava. “Che c'è Paolo?”.
“Simona era qui con me...”, risposi; cominciai a girare la testa
dappertutto e a guardare in giro con i miei occhi che bruciavano,
cercando di ricordare dove era Simona rispetto alla mia posizione.
Anche Chris stava facendo la stessa cosa. Fu lei a trovare Simona;
“Paolo vieni qui, presto” si chinò su quello che sarebbe
sembrato solo un cumulo di macerie, ma mentre iniziava a scavare con
le sue mani, vidi cosa l'aveva messa sulla giusta pista: la mano dove
Simona portava il braccialetto di platino che suo padre, il suo
amatissimo padre, le aveva regalato il giorno del diploma, tre anni
prima. C'erano scritte poche parole, ma che esprimevano tutto l'amore
e l'orgoglio di un padre per l'unica figlia: “Alla mia bambina, per
sempre. Il futuro è tuo. Papà”. In pochi istanti la liberammo
dalle macerie, ma già lo sapevo. La presi tra le braccia e le pulii
lo splendido viso. Chissà perché, in momenti come questi, si riesce
a pensare solo che una persona era bellissima e giovane e non che la
perdita potesse essere anche la brillante intelligenza. I miei motivi
erano strettamente personali e derivavano dai miei sentimenti per
lei.
Il
suo viso non aveva neanche un graffio, ma un grosso pezzo di soffitto
le aveva schiacciato il petto uccidendola praticamente sul
colpo; non aveva avuto la mia stessa fortuna: il pannello che aveva
riparato me non era stato sufficiente a salvare lei. Il suo
maglioncino copriva i danni e solo il sangue ne rivelava la gravità.
La guardavo e piangevo. Avevo promesso a suo padre, che dopo la morte
di sua madre per un incidente di macchina aveva solo la sua bambina,
che l'avrei protetta da ogni pericolo. L'avevo così virtualmente
adottata e mi ero affezionato a lei. Era una ragazza dolce e
tranquilla, ma vivace e piena di vita quando non si trattava di
lavoro; in quel caso diventava un computer quantistico a cui
praticamente nulla poteva rimanere ignoto a lungo. Era sempre stato
un piacere e anche una gioia avere a che fare con lei. Adesso era
morta.
Guardavo
Paolo piangere quella ragazza che anche io avevo imparato ad
apprezzare e ad amare e mi sentii infinitamente infelice.
Ormai
erano oltre 15 anni che vivevo la mia vita in tutto e per tutto con
Paolo e non lo avevo visto così disperato in nessuna altra
occasione. Simona era entrata nel nostro gruppo di ricerca da appena
tre mesi, tre anni prima, e io mi ero ingelosita, facendo una scenata
incredibile. Paolo aveva un rapporto speciale con lei; mi aveva
raccontato di averla assunta su raccomandazione di Chandra
Crishsnamurti, in assoluto uno dei più brillanti premi Nobel per la
Fisica della storia umana, e che chiedendo il permesso a suo padre di
poterla assumere per gli scavi che erano in programma nel Sahara (in
quanto lei era ancora minorenne), si era ritrovato nella condizione
di doverla virtualmente adottare. Non sono mai stata incline ad una
riflessività sensata e prudente e anche in quella occasione non
persi l'opportunità di mettere alla prova l'amore e la pazienza di
Paolo andando molto oltre ogni qualunque limite decente. Davanti
a tutti e sopratutto a Simona lo accusai di “desiderare di
abbandonarmi per quella bambina tutta curve”, neanche io fossi un
manico di scopa, anzi tutt'altro. Simona divenne di una tonalità di
rosso che non credevo un essere umano potesse manifestare, ma
che forse era consentita dal suo naturale colore di capelli.
Paolo mi guardò, alzò un sopracciglio, si avvicinò e si mise in
piedi difronte a me. Temetti il peggio. Invece mi afferrò per
le spalle, mi tirò su e mi baciò davanti a tutti. Poi mi rimise
giù, a sedere, completamente frastornata e se ne andò. Così mi
aveva dichiarato il suo amore, 12 anni prima, dopo 6 mesi di tira e
molla da parte mia e non avevo più potuto resistere. Ma quella
volta era una cosa diversa. Più tardi Simona mi raccontò che avevo
assunto anche io una sfumatura di rosso veramente spettacolare e
io sono bionda. In quel momento riuscii solo a chiederle scusa con un
filo di voce e ad andarmene. Fu la seconda volta che il mio
comportamento faceva infuriare Paolo e faceva piangere me. Non
sono MAI stata una piagnucolosa, ma rendermi conto di aver deluso
Paolo mi faceva quell'effetto. Lui per me è tutto, è l'unica
cosa che veramente conta nella vita e anche solo la più remota
possibilità di ritrovarmi senza di lui mi fa perdere ogni controllo,
ma questo non deve giustificarmi, mai. Ho imparato presto che Paolo
ha un profondo spirito di protezione, definibile come 'Sindrome del
Cavaliere', per i piccoli e Simona rientrava sicuramente in quella
sfera d'azione. Ma sapevo anche che lui poteva amare solo una persona
e quella persona ero io. Ero lì che piangevo la mia stupida
impulsività, quando una voce mi riscosse: “non è successo nulla
di grave Chris”. Girai la mia testa nella direzione di quella
vocina. Era Simona. Mi sentii pure peggio, perché stava sorridendo
dolcemente. Cercai di recuperare un po' di dignità: “scusami, non
ho motivo di essere gelosa di te. Sei un angelo e so che Paolo non mi
tradirebbe mai.” In quel momento io ero la bambina e lei la donna
adulta; mi asciugò le lacrime e, da brava italiana, mi diede un
bacio su una guancia e disse: “vai da lui”. Mi resi conto che
indicava con la testa verso l'altro lato del corridoio. C'era Paolo
che mi guardava. Corsi verso di lui e lo strinsi con tutta la forza,
sapendo di non potergli fare il minimo male. Le sue carezze mi
dissero che era tutto a posto. Da quel giorno non potei fare a meno
di volere un bene enorme a quella bambina dolcissima (comunque tutta
curve, nonostante fosse appena maggiorenne, visto che stavamo appunto
festeggiando il suo 18esimo compleanno).
Avevo
appoggiato una mano sulla spalla di Paolo, per testimoniare che ero
lì, con lui. In casi come questo, si cerca di farsi forza dicendo
che il peggio è passato e che ora si doveva solo andare avanti, ma
l'Universo aveva in serbo per noi altre simpatiche sorprese. In
molti hanno visto la scena tratta dal film Frankenstein Junior, di
Mel Brooks, nella quale il professore Viktor Frankenstin
(volendo differenziarsi dal suo avo) e il suo aiutante sono
intenti a scavare per procurarsi i cadaveri per i loro esperimenti.
Ad un certo punto il professore emerge dalla fossa alzando una cassa
da morto e sbuffando dichiara: “che lavoro schifoso!”.
L'aiutante gobbo, con la massima calma e naturalezza, replica:
“poteva andare peggio” al ché il Professore replica: “e come?”
candidamente Igor (si pronuncia Aigor, mi raccomando) spiega:
“poteva piovere...”. Un tuono, un lampo ed inizia IL diluvio.
Frankenstein si gira sconsolato verso il gobbo, con un vago
desiderio omicida. Ho visto varie volte quella scena e ogni
volta rotolo dal
ridere. Stavo vivendo qualcosa del genere, solo che ora non
c'era niente da ridere. Tutto precipitò di nuovo, catastroficamente.
Un suono che mi agghiacciò pervase e fece tremare tutto l'Universo.
Alzai gli occhi semplicemente verso l'alto e fui praticamente certa
che la mia ora fosse giunta. A non più di 20 metri Rudy, libero, mi
stava fissando. Paolo lo aveva definito un demone; io, ora, sapevo
che era un demone. I suoi occhi adesso accesi di vita, esprimevano
una furia e un'ira infinite; seppur libero, era stato imprigionato e
questo era per lui, intollerabile. Prese fiato e di nuovo quel
ruggito infinito scosse la mia anima; fece un passo verso di me e
Paolo. La mia mano strinse la presa su Paolo e quasi non riuscii a
dire “Paolo, Rudy!”. Paolo aveva alzato la testa, guardando Rudy
dritto negli occhi e ora si stava alzando in piedi. Stava SFIDANDO
Rudy. Paolo è un uomo 'grande', ma non è mai stato minaccioso, né
ha mai guardato storto qualcuno e forse ha una massa di un millesimo
rispetto a Rudy, ma ora, il suo odio, sembrava renderlo quasi pari a
quel mostro. Per la prima volta vidi quel sentimento devastante ben
dipinto sul suo volto. Paolo parlò con una voce irriconoscibile,
scandendo ogni singola parola, facendomi tremare: “tu
sei morto!” So anche
io che era assurdo, ma le sue parole mi sembrarono credibili; in 15
anni nessuna affermazione di Paolo è stata mai smentita, perché
sempre dichiarata su basi realistiche e suffragata da debita
dimostrazione e ormai ne ero forse condizionata. Rudy, forse
spiazzato da quell'assurdo atteggiamento, lo guardò balzare verso
l'entrata del laboratorio e, mi resi conto solo dopo, aveva capito
prima di me cosa aveva intenzione di fare Paolo. Spiccò un salto
verso di lui, ma un fascio di neutroni concentrato lo investì a
mezz'aria. Paolo lo aveva colpito con il cannone con cui avevamo
distrutto la porta di accesso al laboratorio, che ancora era
parcheggiato dove era stato usato solo due giorni prima. Vidi che sia
il cursore dell'ampiezza che quello dell'intensità erano a fondo
scala. Guardai nella direzione in cui Rudy era volato ma feci solo in
tempo a vedere un lampo di luce azzurra seguito da una ventata e una
scia di una massa rossa che volava attraverso lo squarcio del
soffitto che il lampo aveva creato. Paolo sparò ancora ma ormai Rudy
era fuggito. Paolo smise sparare e con estremo sconforto disse: “È
scappato!”. Guardai il suo viso: piangeva, disperato. Lo
abbracciai, accarezzando la sua testa. “Lo voglio morto!” disse.
“Anche io!” gli risposi guardandolo negli occhi “ma dobbiamo
dare l'allarme all'esterno”.
1Era
un gingillo di derivazione militare, come si può desumere dalla
fantasia del nome...
2Tsar,
una bomba ad idrogeno, è stata realizzata come un dispositivo a tre
stadi: una bomba a fissione che comprimeva e faceva esplodere una
certa quantità di idrogeno, dall'esplosione della quale si ricavava
energia per far esplodere una quantità molto maggiore di idrogeno;
come risultato la potenza dell'esplosione (di circa 50-55 Megatons)
fu di 14.000 volte quella unita delle due bombe che distrussero
Hiroshima (13-18 Mt) e Nagasaki (21 Mt), dieci volte la potenza di
tutte le bombe usate nella Seconda Guerra Mondiale e un quarto della
potenza dell'esplosione del vulcano Krakatoa; il calore
dell'esplosione fu percepito ad oltre 270 chilometri e avrebbe
provocato ustioni di terzo grado a meno di cento, dato che la palla
infuocata aveva un diametro di circa 8 chilometri con una base del
fungo atomico di 40 chilometri e un'altezza di 64.
3Il
neutronio è una forma di materia degenerata, composta solo da
neutroni; esiste solo nelle stelle di neutroni, nate dal collasso
gravitazionale di astri molto più grandi e massicci del sole,
ma non tanto da poter diventare supernove e collassare in buchi
neri; durante il collasso che si genera dall'esaurimento del
combustibile che alimenta una stella (inizialmente l'idrogeno, per
poi passare per molti altri materiali), la massa genera una
pressione tale che, insieme all'enorme temperatura, che ripulisce
gli atomi dagli elettroni, “schiaccia” insieme i neutroni dei
nuclei, che altrimenti essendo carichi positivamente tenderebbero a
respingersi. Dove in genere c'è molto spazio libero (confrontata
alla massa delle particelle lo spazio che le separa è enorme), ora
di spazio non ce né più. Un cucchiaio di neutronio può pesare
centinaia di miliardi di tonnellate.
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